I Sequel dei Pinguini: le patologie del sonno

“Dottore mi deve aiutare: il mio piccolo non dorme mai e io sono
esausta”... ”Signora ci vuole pazienza: vedrà, è solo un periodo. Deve
crescere. Ci siamo passati tutti”. Quanti di noi si riconoscono in questa
situazione? Non molti anni fa si riteneva che dormire male o dormire
poco fosse una condizione normale dei primi anni di vita. Di conseguenza
noi pediatri non cercavamo consigli o strategie per aiutare i nostri piccoli
pazienti ed ai genitori non restava che accettare questa condizione, come
un normale “pegno da pagare” per aver avuto un figlio.
Ma la cosa peggiore è che tutti noi ritenevamo questo disturbo notturno
innocuo per il piccolo, considerandolo solo causa di stanchezza e
sonnolenza diurna per l’adulto. In questi anni la Medicina del Sonno e
gli specialisti che studiano questa fase della vita, ne hanno evidenziato
aspetti talmente importanti da far cambiare atteggiamento a tutti noi.
Sapere perché la natura ha deciso di dedicare al sonno 1/3 della vita
di un adulto e 2/3 di un neonato, può stimolare il pediatra di famiglia
a porvi maggiore attenzione e può fornire motivazioni indispensabili per
agire correttamente nei confronti di ogni paziente.
Dunque è fondamentale dormire? Sì senza ombra di dubbio. Lo dimostrano
i numerosi studi condotti sugli animali sin dalla fi ne del 1800.
Deprivando totalmente del sonno cani o gatti o topi si otteneva sempre
il loro decesso entro tempi non superiori alle 4 settimane (1, 2).
Inoltre circa 200 persone nel mondo sperimentano le conseguenze
di una patologia genetica molto rara, l’Insonnia Famigliare Fatale la
quale, riducendo progressivamente la durata del sonno, causa altera-
zioni neuropsichiatriche sempre più gravi, fi no a determinare nel corso
di pochi mesi il decesso (3).

Quindi ora sappiamo che se vogliamo vivere dobbiamo dormire.

Anche nell’uomo sono stati condotti studi osservazionali sulla deprivazione
di sonno, grazie a volontari che si sono sottoposti a veglie prolungate.
Nel 1959 Peter Tripp, un popolare dj di New York, rimase sveglio per 8
giorni e nel 1964 Randy Gardner, un diciassettenne di San Diego, non
dormì per 11 giorni. In entrambi i casi i soggetti furono seguiti da gruppi
di esperti che monitorano le loro reazioni organiche e mentali ed entrambi
i soggetti, col passare delle ore di veglia, presentarono allucinazioni,
paranoia e cambiamenti importanti del carattere e del comportamento.
Inoltre dimostrarono progressiva riduzione delle capacità cognitive, della
memoria e dell’attenzione (4).
Da queste esperienze e da successivi studi si è compreso che la deprivazione
acuta di sonno determina riduzione delle funzioni cognitive, della
memoria, del linguaggio e dell’attenzione. Crea stanchezza, fatica fi sica,
irritabilità, depressione e minor performance lavorativa.
Pensate a come vi sentite dopo una notte insonne: stanchi, meno inclini
alla calma, di cattivo umore ed eseguite con maggior diffi coltà compiti
per voi assolutamente quotidiani. Se tale deprivazione non riguarda una
sola o poche notti, ma si protrae nel tempo e diventa cronica, coinvolgendo
più notti successive, può favorire anche l’insorgenza di malattie
cardiovascolari, ipertensione, obesità, diabete, disturbi psichici come
ansia e depressione.

Quindi se vogliamo vivere bene dobbiamo dormire.

Ma allora cosa succede mentre dormiamo? Partiamo da una delle
più recenti scoperte.

DURANTE IL SONNO “DEPURIAMO” IL NOSTRO CERVELLO
DALLE SCORIE PRODOTTE NELLE 24 ORE

Come in tutti i tessuti anche in quello cerebrale vengono prodotte
sostanze tossiche di scarto, che devono essere rimosse per evitarne l’accumulo,
fenomeno alla base di molte patologie neurodegenerative. Nel
cervello la rimozione delle scorie tossiche non è garantita dal sistema
linfatico come nel resto dell’organismo. Maiken Nedergaard, direttrice
di un gruppo di ricerche dell’Università Rochester Medical Center di
New York, ha individuato l’esistenza a livello cerebrale di un sistema
simile nel comportamento a quello linfatico, che controlla il fl usso del
liquido cerebrospinale attraverso l’azione delle cellule gliali (per questo
il sistema è stato battezzato “glinfatico”) (Fig. 1).
Tale sistema è dieci volte più attivo durante il sonno; mentre dormiamo
viene rimossa una quantità di proteine tossiche, signifi cativamente più
elevata di quanto avvenga in veglia: ad esempio la beta-amiloide, il cui
deposito è causa di alcune malattie neurodegenerative tra cui l’Alzheimer,
viene eliminata quasi esclusivamente durante il sonno (5, 6).

Figura 1: Confronto fra la circolazione interstiziale del fl uido cerebrospinale in un topo sveglio e in uno che dorme. 

Quindi se vogliamo tenere “pulito” il nostro cervello e quello dei nostri bambini dobbiamo dormire.

DURANTE IL SONNO COSTRUIAMO E RIMODELLIAMO LA NOSTRA MEMORIA, BASE DELL’APPRENDIMENTO IN SENSO LATO

Già nel 1885 lo psicologo H. Ebbinghaus riconobbe la capacità del sonno nel rallentare l’“oblio” cioè la perdita delle conoscenze acquisite durante il giorno (7).

Da allora successivi e numerosi studi hanno evidenziato come il sonno rinforzi la memoria nelle sue diverse fasi di ritenzione, consolidamento e recupero dei ricordi ed in questa sua funzione intervenga sia nella fase di sonno profondo non-REM, che in quella di sonno REM (8).

 

SONNO E FASI DEL SONNO

Il sonno presenta, dopo i 6 mesi di vita, un’alternanza regolare di 3-4 cicli “non-REM e REM” ognuno della durata di circa 80-90 minuti. Dai sei mesi di vita circa ci addormentiamo in Fase 1 non-REM (N1 addormentamento), passando alla Fase 2 (N2 sonno leggero), quindi alla Fase 3 (N3 sonno profondo) (American Academy of Sleep Medicine 2007).

Dopo 70-90 minuti si verifi ca la prima fase di sonno REM che dura 15 minuti. I cicli successivi hanno durata piuttosto costantema aumenta la durata del sonno REM a scapito del sonno N3 non-REM. È possibile che tra i vari cicli vi siano momenti molto brevi di veglia (Fig. 2). Fino a 2 mesi di vita il sonno si articola in periodi distribuiti in modo indifferente nelle 24 ore, ognuno di 3-4 ore in cui si susseguono 3-4 cicli di sonno attivo (che corrisponde al sonno REM) e di sonno passivo o calmo (sonno non-REM senza distinzioni in fasi) ognuno di circa 50 minuti.

A 6 mesi i cicli sono di 70 minuti, sono concentrati nelle ore notturne seguendo un iniziale ritmo circadiano, e si iniziano a delineare il sonno REM e le Fasi N1-N2-N3 del sonno non-REM. Gradualmente i cicli si allungano fi no ad arrivare alla durata di 90-120 minuti dell’adulto, si ripetono 4-5 volte e si concentrano nelle 8 ore di sonno notturno.

 

Figura 2: Ipnogramma: rappresentazione grafi ca di un periodo di sonno notturno
con il succedersi delle fasi del sonno in rapporto al tempo nell’adulto.



Attraverso l’uso della Risonanza Magnetica Funzionale, Yoo (9) e
Van DerWerf (10) hanno evidenziato come una deprivazione di sonno
profondo a onde lente (stadio 3 non-REM) possa ridurre la formazione
della memoria a breve temine (codifi cazione), mentre una deprivazione di
sonno REM possa compromettere il consolidamento della memoria (dove
per consolidamento intendiamo il passaggio da memoria a breve termine
a memoria a lungo termine, attraverso un “dialogo” tra l’ippocampo e
le regioni prefrontali).

I PROCESSI DELLA MEMORIA
1. Codifi cazione: processo con il quale si concentra l’attenzione
su informazioni nuove che vengono analizzate appena
le si contatta.
2. Consolidamento: processi di modifi ca delle nozioni appena
acquisite in modo da renderli più stabili e di lunga durata.
3. Recupero: richiamo di un’informazione o ricordo precedentemente
archiviato.



Quest’ultima ipotesi è stata ripresa in numerosi studi tra cui uno effettuato
utilizzando l’optogenetica: in questo studio i neuroni di una linea di
topi geneticamente modifi cati venivano attivati o disattivati con un impulso
luminoso. I ricercatori hanno agito selettivamente sui neuroni dell’ippocampo
(sede principale della memoria), alterandone l’attività durante le diverse
fasi del sonno e hanno scoperto che, inibendo i neuroni durante il sonno
REM, i topi non conservavano né la memoria contestuale (come la posizione
di un oggetto appresa nel precedente stato di veglia), né quella emotiva
(come la paura associata a una scossa alle zampe) (11). Studi successivi
hanno evidenziato come durante il sonno avviene una selezione di quelle
sinapsi dendridiche, che si sono formate in veglia attraverso l’acquisizione
delle esperienze vissute. Durante la veglia il nostro cervello registra un
numero molto elevato di informazioni, che conserva momentaneamente
attraverso la formazione di nuove sinapsi dendridiche. Durante la fase di
sonno REM, queste informazioni vengono selezionate: una parte saranno
scartate attraverso una pulizia sinaptica, con riduzione del numero degli
stessi dendriti (e le informazioni corrispondenti verranno dimenticate), mentre
un’altra parte verrà conservata attraverso il potenziamento sinaptico (12).
Inoltre, sempre attraverso la pulizia sinaptica, avviene l’eliminazione di
una parte delle tracce di esperienze passate divenute meno signifi cative,
lasciando spazio a nuovi ricordi (13). Infi ne alcuni recenti studi hanno
evidenziato all’EEG in sonno di persone con intensa attività diurna di
apprendimento o con “super-memoria “, la presenza di un alto indice di
onde cerebrali buone chiamate A1 CAP (Cyclic Alternating Pattern) nel
sonno non-REM profondo. Queste onde A1 del CAP proteggono il sonno
dagli stimoli esterni o endogeni che lo possono disturbare. Stimoli esogeni
o endogeni determinano dei microrisvegli durante i quali non riprendiamo
coscienza ma passiamo dalla Fase N3 non-REM (dove la memoria viene
elaborata) ad una fase del sonno più leggera (non chiamata in causa per
la memoria e l’apprendimento).
Riassumendo: durante il sonno scegliamo le informazioni raccolte
attraverso le esperienze diurne, le codifi chiamo, le memorizziamo, immagazzinandole
in modo da poterle riutilizzare al momento opportuno; inoltre
eliminiamo quelle informazioni che col tempo perdono di valore cognitivo
e\o emotivo. Così diamo vita e riorganizziamo quotidianamente la nostra
memoria, avviando un corretto evolvere di tutto il nostro apprendimento.
La durata del sonno e delle sue fasi, riconosciute come custodi di
queste attività, si riducono nella vita di ognuno di noi col passare dei
mesi e degli anni: la quantità totale di ore di sonno (raccomandate dalla
National Sleep Foundation) (14) è di 14-17 ore nei primi due mesi di vita,
per scendere gradualmente a 10-13 ore tra i 3 e i 5 anni, a 8-10 ore tra
i 14 e i 17 anni e a 7-8 ore negli anziani (Fig. 3).
Il sonno REM occupa il 50% del sonno totale nel neonato, il 25%
nell’adulto fi no al 20% nell’anziano (Fig. 4); il sonno non-REM rimane
costante fi no all’adolescenza quando si riduce notevolmente in relazione al
processo di selezione sinaptica tipico di questa fase della vita in relazione
ai cambiamenti ormonali. Da tutto ciò appare evidente che l’età evolutiva,
dalla nascita all’adolescenza, è il momento della vita in cui vengono
strutturate le basi della memoria e dell’apprendimento. Ed il sonno ha
sicuramente un ruolo fondamentale.

Figura 3: Raccomandazione della National Sleep Foundation circa la durata del sonno nelle diverse età.

 

 

Figura 4: Percentuale di sonno REM nelle diverse fascie di età.



Ecco perché i nostri bambini devono dormire un sonno adeguato sia
nella durata che nella qualità.
Ma non basta. Molti studi dimostrano come la deprivazione di sonno
possa essere associata a disordini da defi cit dell’attenzione e iperattività
(15); comportamento impulsivo (16); ansia e depressione (17); scarse
prestazioni cognitive e fallimento accademico (18); stili di comportamento
non sicuri (19). Inoltre è stata individuata una stretta correlazione tra
insonnia nei primi anni di vita, e abuso durante l’adolescenza di alcol,
tabacco e droghe (20). Così come i disturbi del sonno sono stati correlati
con l’insorgenza di patologie metaboliche, quali l’obesità (21-23), sin
dai primi anni di vita (24), attraverso un aumento della concentrazione
ematica di Grelina, ormone gastrico e pancreatico che stimola l’appetito, e
una ridotta secrezione di Leptina (25), ormone prodotto dagli adipociti che
determina il senso di sazietà inibendo la produzione della Grelina. La stessa
deprivazione di sonno può determinare insulino-resistenza (26) e può
portare ad un consumo maggiore di cibi ricchi di carboidrati raffi nati e di
grassi (27). Anche la crescita staturo-ponderale è infl uenzata dal sonno
attraverso la dismissione dell’ormone GH che avviene principalmente
nella Fase N3 non-REM (28), così la perdita di sonno compromette la
risposta immunitaria e, d’altro canto, l’attivazione della risposta immunitaria
nel corso di un episodio infettivo modifi ca il sonno con un
aumento del tempo speso in sonno NREM (29). Infi ne come negli adulti,
se pur con diverse incidenze, la deprivazione di sonno, soprattutto se
determinata da patologie concomitanti, può causare eventi ed alterazioni
cardiovascolari (30).
Purtroppo i dati emersi in diversi studi epidemiologici italiani ed in
particolare in due studi effettuati negli ultimi anni (31, 32) è risultato che
i bambini italiani da 1 a 14 anni dormono poco e hanno abitudini non
consone a favorire una buona qualità del sonno.
A chi non viene in mente il lattante di uno/due mesi in pizzeria alle 23,
in mezzo al rumore e alle luci intense del locale, o il bimbo di 3 anni che si
addormenta sul divano dopo le 22 davanti alla televisione, o l’adolescente
che “tira la mezzanotte” con il cellulare tra le mani?

COSA POSSIAMO FARE NOI PEDIATRI DI FAMIGLIA NEI
CONFRONTI DEI DISTURBI DEL SONNO DEI BAMBINI?

Il Pediatra di Famiglia ha un ruolo fondamentale nella prevenzione, nel
riconoscimento e nella cura dei disturbi del sonno, potendo incontrare sin
dal primo mese di vita ed in successive occasioni, ogni piccolo paziente e
la sua famiglia. Questo ci consente di conoscere a fondo la struttura della
famiglia, della casa, le abitudini di tutto il nucleo famigliare, la cultura dei
genitori e di chi li aiuta ad accudire il piccolo.
Queste informazioni rendono possibile personalizzare i consigli educativi,
che devono adattarsi ad ogni singola situazione, avendo sempre
ben presente i traguardi da raggiungere.
Vediamo insieme qualche consiglio che possa aiutare il genitore
nell’educare il proprio bambino ad un corretto sonno.

Prima di tutto si deve ricordare ai genitori che il sonno del proprio
bambino deve essere considerato importante e deve essere rispettato:
dobbiamo invitare i genitori ad adattare l’organizzazione della vita
famigliare alle esigenze del piccolo e non viceversa, come ormai
accade quasi costantemente. Questo è un punto fondamentale e assolutamente
non chiaro a molti genitori (ricordate il già citato lattante di
due mesi che “dorme” nel caos di una pizzeria alle 23 perché “quella
serata con gli amici è irrinunciabile” e il piccolo non può stare a casa
con i nonni o una babysitter; oppure il bimbo di tre anni che gioca
alla playstation col padre alle 22 perché papà torna tardi dal lavoro
ma vuole giocare col proprio bimbo prima della nanna).
Per rispettare il sonno del piccolo lo si deve abituare ad addormentarsi
ad un’ora consona all’età, in modo autonomo e possibilmente nella
propria cameretta.
L’orario di addormentamento: questo deve garantire un numero di
ore adeguato all’età (secondo le raccomandazioni della National
Sleep Foundation) e un corretto svolgimento del sonno secondo il
ritmo circadiano del bimbo stesso: ad esempio un bimbo di 4 anni
che deve dormire almeno 10 ore, dovrebbe addormentarsi non dopo
le 21, soprattutto se frequenta l’asilo e si alza alle 7. E in tutti i casi
addormentarsi alle 24 e non alle 21, non garantisce la stessa qualità
di sonno per lo svolgersi del ritmo circadiano sonno-veglia.
Attenzione poi all’ambiente dedicato al sonno: invitiamo ad addormentare
il bimbo sempre nella camera da letto (se possibile nella sua
stanza, ma se la famiglia vive in un bilocale in quella dei genitori) non
in cucina sul seggiolone, in sala sul divano o dove capita.
Invitiamoli a porre il piccolo nel lettino da sveglio o in fase di addormentamento
(appena questa fase compare cioè verso il quarto mese di
vita), permettendogli di addormentarsi da solo, non mentre si alimenta
al seno o al biberon, distinguendo le fasi di alimentazione dalla fase
di addormentamento.
Suggeriamo di preparare adeguatamente la stanza considerando la
temperatura (19-21 gradi), la luce inizialmente soffusa poi spenta; i
rumori di sottofondo: meglio una musica dolce e lenta - non un carillon,
né una canzone ed evitare l’uso di girandole musicali sopra il lettino.
Vietiamo l’uso di device accesi in fase di addormentamento e durante
il sonno. Consigliamo di non attrezzare la stanza del bimbo con
televisioni e computer o almeno di utilizzare blocchi per evitare l’uso
indiscriminato. Inoltre se il bimbo dorme per necessità nella stanza
dei genitori, questi non dovrebbero guardare la TV o chiacchierare
a letto dopo che il piccolo si è addormentato, perché gli stimoli luminosi
e sonori rendono più diffi cile il raggiungimento delle fasi di
sonno profondo.

Molto importante è la gestione dell’ultima parte del pomeriggio in cui
si dovrebbe preparare il piccolo alla nanna serale con attività tranquille,
che abbassino il tono degli ormoni adrenergici.
Quanti papà arrivano nel tardo pomeriggio e fanno scatenare i piccoli,
o giocano con video giochi violenti con i propri preadolescenti o
adolescenti? E così via.
Questi sono solo alcuni dei consigli che possiamo utilizzare sia per
la prevenzione sia per individuare ciò che deve essere cambiato nelle
abitudini di un bimbo che dorme male.
Sono certa che anche nella vostra esperienza avrete notato come
alcuni atteggiamenti che dovrebbero essere “scontati” nell’educazione di
un bimbo, non lo sono affatto per molti genitori.
Tutto quello che avete letto fi n qui vuole essere solo un punto di rifl essione
e di partenza perché impariamo insieme a pensare al sonno come
momento della vita da considerare importante nella nostra professione.
In futuro potremmo condividere anche quegli aspetti di patologia che si
possono nascondere nelle pieghe di Morfeo. Per ora buona rifl essione e
buon sonno a tutti.

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